La sfida di ogni giorno è competere con colossi americani come Stanley Black & Decker e Snapon o la tedesca Gedore. Ma la convinzione di Roberto Ciceri, 53 anni, l’imprenditore della Beta Utensili, è che le attrezzature che produce la sua azienda — chiavi, pinze, cacciavite e accessori per l’industria dell’auto, le officine e gli hobbisti —, possano imporsi con la qualità del made in Italy. Come in effetti dimostrano clienti come Fca, Luxottica, Brembo, Prysmian o appassionati come il pluricampione del motociclismo Valentino Rossi.

Il tema è aumentare la taglia dell’azienda, radici a Sovico (Monza) e ricavi di 140 milioni. Così Ciceri, che due anni fa ha aperto il capitale alla Tipo (Tip pre-Ipo) dei banker Giovanni Tamburi e Alessandra Gritti, ha trovato la prima acquisizione di dimensioni rilevanti per un’azienda media, numero uno in Italia del suo settore, che ha l’ambizione di assemblare le aziende del settore. Per guardare anche all’Europa, dove raccoglie il 50% delle vendite. E poi alla Borsa.

Nei giorni scorsi, Beta (fondata nel 1923) ha infatti comprato la Bm di Rozzano, a Sud di Milano, che da 60 anni produce e distribuisce sistemi per la connessione di cavi elettrici, morsetti e capicorda, con 25 milioni di fatturato. Un mercato, quello della distribuzione di materiale elettrico per le costruzioni civili e industriali che in Italia vale 5 miliardi.

Con questa operazione Beta entra in un campo nuovo e stima per quest’anno di superare i 170 milioni di ricavi. Per Bm si è invece concluso un cammino iniziato nel 2013, quando la crisi mordeva forte, e l’azienda era finita sull’orlo del fallimento. L’ha messa in sicurezza uno dei suoi fornitori, Catullo Cattoli che ha salvato anche gli 80 posti di lavoro. Ha investito e rifatto la squadra con il direttore generale Luca Pellicciari che resta alla guida. Ora, a 76 anni, la consegna alla brianzola Beta. Può sembrare una piccola storia di provincia, con due aziende lombarde che si uniscono. In realtà quello di Beta è un percorso di aggregazioni con l’obiettivo di creare un player più grande, in grado di tenere testa ai concorrenti anche in Europa.

Il carburante per la crescita Beta l’aveva ricevuto aprendo alla Tipo, dedicata alle medie imprese da portare in Piazza Affari. Tip pre-Ipo era salita in maggioranza nel capitale sociale (ma la maggioranza dei diritti di voto è rimasta all’imprenditore), nell’ambito di un’operazione del valore di 200 milioni che aveva supportato il family buyout di Ciceri. L’imprenditore aveva così potuto rilevare le quote degli altri esponenti, reinvestendo quanto incassato. A dicembre ha poi deciso di risalire al 51% di Beta. Al suo fianco, resta Tipo. Ma anche una pattuglia di altri imprenditori che aveva coinvestito con Tamburi. Da Sergio Dompé alla famiglia Loro Piana, fino a Claudio Luti della Kartell e alla famiglia Magnetto.

 

Fonte: Corriere della Sera